Mediante l’allegata sentenza la Sezione Lavoro della Corte di Appello di Brescia ha accolto le difese svolte dallo Studio Legale Riviera, rigettando l’appello proposto dall’Inps e quindi confermando la non debenza delle somme asseritamente dovute dalla professionista a titolo di contributi maturati in ragione della sua iscrizione alla Gestione Separata.
Sebbene la Corte territoriale abbia escluso, difformemente dalla statuizione di primo grado, l’intervenuta prescrizione del credito, la disamina del merito della fattispecie sottopostale ha consentito ugualmente di ritenere meritevoli di accoglimento le eccezioni sollevate dallo Studio Legale Riviera in ordine all’insussistenza dell’obbligo contributivo, a prescindere dall’iscrizione alla gestione separata, stante la dimostrazione della riconducibilità dei redditi ad un’attività lavorativa svolta in forma subordinata, come appurato in separato e precedente giudizio di opposizione allo stato passivo fallimentare svoltosi avanti alla Sezione Fallimentare del Tribunale di Brescia.
Il Giudice di seconde cure, infatti, ha ritenuto che non fosse pertinente il richiamo compiuto dall’Inps all’orientamento giurisprudenziale che esclude la legittimazione del lavoratore ad agire nei confronti dell’Ente per l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, evidenziando come la professionista, nella veste di convenuta in senso sostanziale, non avesse formulato domanda autonoma affinchè fosse compiuto simile accertamento, ma si fosse limitata ad eccepire l’esistenza di un fatto impeditivo/estintivo del credito, rappresentato dal fatto che la fonte del reddito prodotto fosse un rapporto di lavoro subordinato.
Quanto poi alle ulteriori censure dell’Inps sull’inopponibilità nei suoi confronti del decreto (contenente l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato) emesso dal giudice del fallimento, non avendo l’Ente preso parte al giudizio, e sull’efficacia meramente endo-fallimentare di tale decreto, la Sezione Lavoro della Corte di Appello di Brescia ha osservato come il provvedimento fosse stato prodotto come elemento probatorio ed altresì come i verbali di audizione testimoniale, parimenti prodotti in appello ed ammissibili per l’indispensabilità ai fini della decisione, dovessero ritenersi integranti gli estremi di prove atipiche e, come tali, liberamente e prudentemente apprezzabili dal Giudice. Del resto, la circostanza che le prove già assunte nel giudizio fallimentare vertessero sui medesimi fatti avrebbe reso superfluo, e contrastante con il principio di economia processuale, l’assunzione delle prove nel giudizio in esame, specie in difetto della richiesta dell’Ente.
La raggiunta prova in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ha, pertanto, consentito di appurare come i redditi prodotti dall’apparente professionista fossero ascrivibili al lavoro da dipendente, con conseguente rigetto delle pretese contributive dell’Inps.
Quanto alla succitata eccezione di prescrizione, si ritiene opportuno rappresentare che la Sezione Lavoro della Corte di Appello di Brescia, pur confermando che il credito oggetto dell’avviso di addebito Inps, afferente al versamento dei contributi asseritamente maturati in ragione dell’iscrizione alla Gestione Separata, soggiaccia al termine di prescrizione quinquennale decorrente dall’ultimo giorno utile al versamento, ha rilevato, discostandosi dalla statuizione del Giudice di prime cure e pur nella consapevolezza della controvertibilità della questione, come l’omessa compilazione del quadro RR della dichiarazione dei redditi configuri – in astratto – un doloso occultamento del debito, determinando la sospensione del termine prescrizionale ai sensi dell’art. 2941 n. 8 c.c..
Osserva, infatti, la Corte territoriale che la legge prescrive l’obbligo della compilazione del quadro RR appositamente in funzione di autodenuncia o, meglio, di autoliquidazione dei contributi e che quindi il professionista che si sottragga all’adempimento dell’obbligo di compilazione effettivamente intenda occultare agli enti previdenziali il proprio debito contributivo, considerato che tale obbligo è preordinato a far conoscere all’Inps l’esistenza del debito contributivo e che la violazione impedisce o, quanto meno, ostacola l’esercizio al diritto di riscossione del diritto di credito.
In antitesi all’orientamento giurisprudenziale prevalente della Suprema Corte (si vedano Cass. Civ., n. 29817/2022 e Cass. Civ., n. 10632/2021) che ha escluso il doloso occultamento del debito qualora il credito dell’Istituto sia comunque evincibile da altre parti della dichiarazione, la Corte territoriale di Brescia ha ritenuto irrilevante il fatto che l’Inps possa comunque accertare l’omissione contributiva, atteso che l’ammissione di tale esimente svuoterebbe di efficacia la previsione dell’obbligo e costringerebbe l’ente a svolgere una serie di accertamenti per tutti i soggetti tenuti al pagamento dei contributi che non compilino il quadro RR.
Naturalmente, prosegue la Corte, l’operatività della causa di sospensione in esame postula un positivo accertamento sulla sussistenza del dolo, vale a dire che richiede che il soggetto abbia agito intenzionalmente, con la coscienza che dalla sua violazione potesse derivare la legittima convinzione dell’Inps circa l’insussistenza di obblighi contributivi.
Dolo che, nella fattispecie oggetto di pronuncia, è stato ravvisato sebbene l’autrice della violazione avesse eccepito che, nonostante la titolarità di partita iva, i redditi prodotti originassero da un rapporto di lavoro di natura subordinata accertato in separato giudizio.
L’operatività della sospensione del termine prescrizionale, sino all’esito delle verifiche effettuate dall’Inps, ha escluso l’intervenuta prescrizione.